Denver – La “mia” Mile-High City –

Denver – La “mia” Mile-High City –

Come al solito, preciso che questa mia piccola descrizione di Denver non vuole essere una guida, ma non e’ nemmeno un dettagliato diario. Sono solo le mie impressioni e il miei ricordi su questa citta, visitata nel settembre 2011 nel mio giro nella Real America.

Denver infatti e’ stata per me una grande sorpresa. Pensando al Colorado pensavo ai cowboys, ai boschi, ai minatori della corsa all’oro; e mi aspettavo una citta’ dal sapore antico, magari con case di mattoni e viali alberati.

Niente di piu’ falso: Denver e’ una delle citta’ piu’ avveniristiche che io abbia mai visto.

Il downtown e’ un’insieme di grattacieli modernissimi, e le case del secolo scorso sono solo su un paio di strade dietro al Campidoglio.

Denver e’ la capitale dello stato del Colorado, chiamata la Mile-High City perche’ a 1600 metri sul livello del mare, ossia un miglio. Noi ci siamo stati a fine settembre, e abbiamo avuto la fortuna di avere giornate di sole, che rendevano l’aria frizzantina e piacevole.

La citta’ e’ molto grande, un’area metropolitana fatta da cittadine attaccate. Noi avevamo preso l’hotel a Lakewood, una zona ad ovest della tristemente nota Aurora.

La nostra visita del centro di Denver si e’ svolta in una giornata, giornata in cui abbiamo camminato molto. Infatti Denver, nella sua Downtown, e’ piuttosto limitata per le auto, e parecchie strade sono esclusivamente pedonali. Abbiamo posteggiato in un multipiano, e da li’ abbiamo camminato parecchio.

Il cuore della citta’ e’ l’area attorno al Civic Center Park – Noi siamo arrivati alla grande area del Civica Center provenienti dalla 16th Street, dove si concentrano i negozi, i cinema, i ristoranti e i teatri della citta. Una via esclusivamente pedonale, percorsa al centro da piccoli autobus elettrici completamente gratuiti che vanno su e giu’ senza interruzioni; la 16th Street non per nulla e’ chiamata Pedestrian Mall, perche’ ti da la sensazione di un unico grande centro commerciale. E’ interamente coperta dal Wi-Fi cittadino, ed e’ affollatissima di studenti , con molte fontane, piazzole, panchine: insomma un luogo molto fruibile per tutti.

Da li’, siamo arrivati al Civic Center Park, un enorme spianata fatta da giardini e viali, dominata dal Capitol.

Noi siamo arrivati all’ora dell’intervallo del pranzo, e ci siamo stupiti di vedere la quantita’ di impiegati che affollavano i locali e che facevano la fila davanti ai chioschi mobili di hotdog e specialita’ etniche. C’è un motivo: Denver, dopo Washington, e’ la citta’ americana con piu’ impiegati governativi. La sua posizione centrale nel paese ha fatto si che l’amministrazione vi concentrasse un gran numero di uffici. Probabilmente la giornata di sole aveva fatto uscire a passeggio nel break di pranzo molte persone, ma credetemi, la folla di persone ci ha colpito.

Passato il Civic Center Park, eccoci davanti ad una delle costruzioni piu’ particolari che io abbia mai visto: il padiglione Hamilton del Denver Art Museum. Il museo e’ un complesso di edifici, in alcuni dei quali sono custodite collezioni interessanti. Ma l’ultimo padiglione, quello progettato dall’architetto Libeskind, conosciuto come “padiglione Hamilton” e inaugurato nel 2006 e’ qualcosa di indimenticabile.

La forma intanto e’ indescrivibile: praticamente una specie di piramide al contrario, con un gran numero di facce, luccicante nel sole perche’ esternamente rivestita di titanio e vetro. Nei giardini che lo circondano ci sono sculture modernissime, e tutto il complesso e’ davvero particolare, inusitato.

Dopo un giro completo dell’edificio, e tante foto, abbiamo deciso di tornare alla macchina per un giro nel Golden Triangle, la zona piu’ ricca e signorile di Denver, dove ci sono le ultime case del XIX secolo rimaste. Quella piu’ conosciuta e’ la casa di Molly Brown, che oggi ospita un museo. Molly Brown, nata poverissima sposo’ un minatore, che trovo’ una miniera d’oro (nel vero senso della parola). Diventata ricchissima fu un personaggio centrale per la vita culturale di Denver alla fine dell’Ottocento, e fu anche mecenate di artisti e benefattrice di opera caritatevoli. Si adopero’ molto per i diritti delle donne e dei bambini, e grazie a lei nacquero orfanotrofi e case di accoglienza; noi la conosciamo soprattutto perche’ e’ la sopravvissuta del Titanic piu’ famosa. Ricordate “Titanic”? Lei era interpretata da Kathy Bates, e proprio per questo benne soprannominata “The unsinkable Molly”, l’inaffondabile Molly. La sua casa oggi e’ museo, e vengono permanentemente esibiti reperti originali del Titanic.

A Denver c’è altro, ovviamente, ma ci sono anche localita’ graziose nelle vicinanze. A parte la vicinanza con il Rocky Mountain Park, e le cittadine di Boulder e Estes Park (deliziosa), altre localita’ carine raggiungibili in giornata sono Colorado Springs e Manitou Springs.

Colorado Springs e’ una cittadina a forte vocazione turistica, circondata da montagne, con una strada principale con negozi di arte e abbigliamento. Ci sono parecchi hotel con SpA e attivita’ destinate ai visitatori.

Manitou Springs, anch’essa cittadina turistica, sembra sia stata in passato una delle mete preferite degli hippies. Io non ho visto nessun hippy, in compenso in un negozio ho visto in esposizione i calumet per il fumo di marjuana, quelli in vetro tipo narghile’, e le pipe per lo stesso uso!

Nelle vicinanze ci sono anche Pikes Peacks, una montagna percorsa da una strada tramite la quale si arriva al punto piu’ alto raggiungibile in auto, oltre 4.000 metri, e Cripple Creek, una cittadina di minatori oggi trasformata in paradiso dei casino’ –

Last but not least, vicino Denver c’è un fantastico Outlet, il Castle Rock Outlet

http://www.outletsatcastlerock.com/

Stephen King non c’entra nulla, l’unico ad essere terrorizzato sara’ il vostro direttore di banca!

Southern States – Florida, Nashville, Memphis e New Orleans

Il nostro viaggio negli Stati del Sud nasce sicuramente dal nostro “Mal d’America”, che da dieci anni porta mio marito e me a prendere una aereo per gli States in media ogni 18 mesi, e da una mia infatuazione per il Sud degli Stati Uniti, che gia’ nel 2004 ci aveva portato, fra l’altro in Georgia e nelle Caroline.

Siamo arrivati e ripartiti da Miami per motivi di praticita’ e di economia; partendo da Catania preferiamo volare Alitalia, che ha un volo diretto Roma / Miami, su cui spesso pratica sconti (quest’anno abbiamo pagato 408 euro a persona).
Abbiamo passato i primi 10 giorni in Florida, stato che gia’ conoscevamo e di cui eravamo (e siamo) innamorati. Abbiamo rivisto qualcosa che ci era piaciuto nel 2005, e approfittato per vedere posti e destinazioni nuove. L’idea era anche quella di fare qualche giorno di sole e mare, ma la nuvoletta di Fantozzi che mi perseguita ha colpito ancora (io ho al mio attivo quattro giorni di pioggia nello Yucatan, una settimana di freddo a giugno in Salento, una media di 10 gradi in Normandia a Luglio…la prossima vacanza la faccio in Darfur, cosi’ risolvo una tragedia umanitaria!).

Arriviamo a Miami in perfetto orario il 7 novembre 2009, e dopo le formalita’ di immigrazione e doganali (questa volta velocissime) e la consegna della macchina noleggiata, ci dirigiamo a Fort Lauderdale, dove abbiamo fatto base per la prima settimana. In effetti la scelta è stata motivata dal fatto che abbiamo utilizzato una settimana di scambio della nostra multiproprieta’ Marriott nel fantastico BeachPlace Towers, un condominio di lusso sul lungomare di Fort Lauderdale. Avevamo un lussuosissimo appartamento (chissà perche’ loro lo chiamano “villa”) con terrazza con vista sui canali, camera da letto hollywoodiana con vasca idromassaggio e cucina ipertecnologica, in una struttura con piscina con vista panoramica, palestra dietro una vetrata sull’oceano, ma comunque collegata alla spiaggia da un passaggio pedonale sopraelevato sul lungomare. Fort Lauderdale è una localita’ graziosissima, ovviamente destinata ai pensionati e ai vacanzieri, con un lungomare pieno di negozi e ristoranti e una bellissima spiaggia bordata di palme. Peccato che quando siamo arrivati c’era una specie di uragano, con vento fortissimo che è durato per sei giorni….ovviamente fino alla mattina della partenza, quando il tempo è diventato estivo!

Da Fort Lauderdale abbiamo fatto escursioni ogni giorno, visitando le localita’ della costa Est. Hollywood, Deerfield, Palm Beach, Boca Raton, Pompano….siamo anche tornati sulla costa Ovest, nella graziosissima Naples con il suo Pier, a Sanibel Island per le conchiglie e a Fort Myers, a vedere le ville di Edison e di Ford. Non poteva mancare Miami e una puntata agli Outlet di Sawgrass Mills. Alternavamo momenti di relax (soprattutto i primi giorni) con uscite piu’ o meno lunghe; abbiamo cercato di variare la qualita’ del cibo, e abbiamo alternato i pasti a “casa” ai ristoranti delle varie catene: Red Lobster, Longhorn, Bubba Gump. A Hollywood abbiamo mangiato dal famoso Billy’s Crab (famoso probabilmente anche per il conto!) mentre a Miami in una steak house argentina , “The Knife”, che gia’ conoscevamo a Coconut Groove. Devo dire che mangiare nel nostro appartamento una volta al giorno in maniera piu’ leggera o facendoci un piatto di pasta (nei supermercati si trova davvero tutto, dalla pasta Barilla alla salsa Mutti) è stato molto piacevole!

Il 14 novembre ci siamo spostati sulla costa Ovest, diretti a Clearwater – St. Petersburg, dove avevamo prenotato un monolocale in residence . Non era un granche’, ma anche qui abbiamo utilizzato dei punti Marriott, e il fatto di non pagare ci ha fatto superare tutti i difetti! Anche qui abbiamo alternato pasti cucinati da noi a pranzi e cene fuori.

La zona di Clearwater- St.Petersburg è un trionfo di spiagge bianchissime, di State Parks, di natura rigogliosa, curatissima, comodita’ ….una goduria per i turisti (e ovviamente per gli onnipresenti pensionati!) In cinque giorni abbiamo visitato varie spiagge: Honeymoon Island, Caladesi, Fort De Soto, Sand Key….una piu’ bella dell’altra, riserve naturali regno di mangrovie e gabbiani. Clearwater Beach invece è la classica spiaggia per famiglie, larghissima, con un Pier popolarissimo di pescatori e bancarelle, soprattutto all’ora del tramonto; mentre St.Petersburg ha un Pier e un lungomare molto chic, con negozi e ristoranti di livello medio-alto. Il tempo finalmente era bello, ma ci siamo limitati a prendere il sole: onestamente il mare non ci ispirava troppo, visto che negli State Park, per consentire la sopravvivenza a tutte le forme di vita, sulla spiaggia vengono lasciate le alghe. Fastidiose la zanzare a Caladesi, ma sembra che anche quelle siano forme di vita da proteggere per la catena alimentare!

Il fiore all’occhiello dei nostri giorni a Clearwater-St.Petersburg è stata pero’ la visita ai Bush Gardens di Tampa. Una struttura indescrivibile, in parte orto botanico, in parte bioparco, ma soprattutto parco divertimenti. Un biglietto unico di 80$ a persona ti fa entrare nel regno della natura, dove passeggi fra piante rare, animali in liberta’, uccelli……puoi prendere la jeep e andare a nutrire le giraffe, prendere una funivia e vedere le zebre e le gazzelle, vedere tigri e leoni dietro le grate (c’è una rarissima tigre bianca) e ippopotami, rinoceronti, elefanti, scimpanze’ e gorilla, oltre a uccelli di tutte le misure: dai fenicotteri rosa alle ara multicolori ai canarini piu’ rari. Il tutto ovviamente spiegato e organizzato nel piu’ tipico stile dei parchi giochi. Bello, bello, bello, forse una delle cose migliori che abbia visto in Florida : sicuramente piu’ istruttivo e meno comune dei gia’ noti parchi Disney.

Sazi di natura, il 18 novembre siamo partiti da Clearwater verso Nord, per il nostro giro on-the-road alla ricerca delle suggestioni del vero Sud, con tanto entusiasmo, e vestiti estivi, cosa di cui ci siamo pentiti qualche ora dopo: memori delle calde estati dei libri di John Grisham, non pensavamo che a Novembre gli Stati del Sud siano abbastanza continentali, come temperature!

Abbiamo dedicato due giorni all’Alabama, un percorso sulla memoria della lotta per i diritti civili (Martin L.King, la rivolta degli autubus, la bomba di Birmingham). A Montgomery abbiamo visitato la parrocchia e la casa del reverendo King, con ancora il segno della bomba nel portico. A Birmingham c’è un bel Museo dei Diritti Civili, proprio di fronte alla Chiesa Battista tristemente nota. Nel Museo si svolge un cammino della memoria fra i principali eventi della lotta per i diritti civili della popolazione afro-americana; molto, molto emozionante. Abbiamo visto cose interessanti, abbiamo riflettuto, e abbiamo spezzato il viaggio verso il Tennesse.

Siamo arrivati a Nashville nel pomeriggio del 19 novembre, abbiamo preso un hotel vicino al centro (Best Western Music Row, ottimo, personale gentile, bella stanza, non troppo costoso, bar con musica dal vivo) e abbiamo fatto un giro di orientamento sulla Broadway e 2nd Ave N,dove di fatto ci sono i locali piu’ famosi, dal BB.King al Wildhorse Saloon. La Broadway è la strada piu’ turistica di Nashville, si succedono negozi di dischi, negozi di abbigliamento western, locali in cui a qualsiasi ora del giorno e della sera trovi qualcuno con una chitarra, gli stivali, ed una birra che canta un pezzo country. Molti turisti, soprattutto statunitensi.

L’indomani abbiamo visitato il Musicians Museum and Hall of Fame, l’Auditorium, abbiamo passeggiato su Broadway, abbiamo mangiato al Jack’s Bar-B-Que (un locale famoso, una fila incredibile, servizio comunque velocissimo, tipico e originale)e poi siamo andati a Opryland, un complesso incredibile di alberghi (anzi, uno solo immenso, con un giardino botanico nella hall; recentemente si è visto in TV per la convention del Tea Party, con la partecipazione di Sarah Palin) e un centro commerciale intorno al nuovo teatro Opry, costruito fuori citta’ per sostituire quello storico in centro. In serata siamo andati al Wildhorse Saloon a vedere il Country; c’erano degli artisti che si esibivano, ma soprattutto io volevo vedere dal vivo una countryline, il ballo tipico –

Il 21 novembre siamo partiti per Memphis, ma prima abbiamo visitato una piantagione, la Belle Mead Plantation: una cosa molto particolare, una casa del vecchio Sud. Fra l’altro per arrivarci abbiamo attraversato una zona di casa lussuosissime, una piu’ bella dell’altra. Nel pomeriggio siamo arrivati a Memphis (l’albergo era un Best Western vicino a Graceland, pulito, economico, comodo, ma nulla di speciale) e abbiamo passato la serata passeggiando su Beale Street, guardando nei locali i cantanti simil-Elvis che si esibivano nel repertorio classico. Credevo fosse una leggenda metropolitana, ma davvero ho visto persone vestite da Elvis, con il ciuffo e il cinturone (uno si accompagnava con una Marilyn!)

Il giorno dopo abbiamo visitato Graceland: c’è bisogno di un giorno intero, in quanto non c’è solo la casa da visitare, ma esibizioni a tema, l’esposizione delle macchine, delle moto, dei vestiti, delle memorie militari. Il giro della casa è fatto con una audio guida in italiano, e in ogni punto c’è un numero con contributi audio. Bello, emozionante, coinvolgente. In serata abbiamo passeggiato ancora su Beale Street cenando nel locale di ispirazione irlandese Silky O’Sullivan (a proposito, la cucina del Sud è buona, ma pesante e secondo me poco varia; oltre ai vari locali, c’è la catena Cracker Barrel, che vende oggetti di sapore western e nei ristoranti propone piatti tipici della tradizione ). Prima di tornare in albergo abbiamo fatto una passeggiata lungo il padre Mississipi, che abbraccia la citta’, e abbiamo visitato by nigth Graceland (fuori dal cancello, dalla strada, insieme ad un’altra decina di scalmanati, facendo le foto in piedi sul predellino della macchina), con il giardino gia’ ornato per Natale con gli addobbi originali di Elvis.

Cosa mi è rimasto dei giorni in Tennessee? Beh, io amo la musica in generale, ho un discreto interesse per le forme musicali piu’ diverse anche se in effetti non sono una intenditrice o una tecnica musicale. Nashville mi è piaciuta, ho trovato interessante il Musician Museum, mi sono divertita al Wildhorse Saloon, mi sono sorpresa all’Opryland (una americanata stile Las Vegas), ma non mi sono entusiasmata.

Memphis invece mi ha davvero emozionato. Intanto la sensazione di essere in una vera citta’ del Sud. Forse perché sono una lettrice di Grisham, ma mi sentivo in una citta’ con un carattere ben definito, signorile. Beale Street è un piacere per la vista e per le orecchie, è bello camminare, guardare i locali, ascoltare la musica (anche nelle traverse laterali vedi persone suonare o cantare). Graceland è un museo ad un mito, ben strutturato, ben presentato, che ti fa venire voglia di scoprire ancora di piu’ qualcosa su Elvis, ti fa venire voglia di ascoltare la sua musica, te lo fa guardare con la simpatia dovuta ad un uomo forse travolto da un successo che non aveva la forza di gestire. La presenza di Elvis è ingombrante nella citta’, dal monumento in una piazza all’inizio di Beale Street ai manichini nei visitor’s centre…..eppure è come se la città non ne venga sopraffatta. Ovviamente queste sono mie suggestioni, che prescindono da ogni considerazione musicale, ma il country mi è sconosciuto come genere, lo posso “conoscere” con la mente, mentre Elvis e il blues li ho davvero “sentiti” con il cuore.

Il nostro viaggio il 23 novembre proseguiva verso “The Big Easy”.

Siamo partiti da Memphis il 23 novembre mattina, e attraverso lo stato del Mississipi ci siamo diretti a New Orleans. Lo stato del Mississipi è lo stato piu’ povero degli USA, e sinceramente non c’è nulla per cui valga la pena di fermarsi. Abbiamo spezzato il viaggio a Jackson, la capitale, per mangiare un boccone e dare un’occhiata, ma non ci siamo fermati piu’ di tanto.

Siamo arrivati a New Orleans nel pomeriggio, abbiamo preso una stanza al Best Western nel Quartiere Francese (noi andiamo nei Best Western perche’ sono una delle poche catene che hanno ancora stanze fumatori, mio marito è una piaga da questo punto di vista!), e siamo andati subito a cena a Bourbon Street. Bourbon Street la sera è….un casino! Si va dai ritoranti di lusso (all’inizio, verso Canala Street) ai locali a luci rosse, dalle birrerie dove si beve e si balla ai negozi di materiale vodoo. Gente di tutti i generi, ragazzi con i mano la birra, turisti, coppie…..davvero uno spettacolo. Noi abbiamo cenato in un ristorante con l’affaccio su Bourbon Street, sul tipico balconcino, The Embers. Ovviamente è stato un salasso, ma volevamo solennizzare la serata!

Il giorno dopo abbiamo fatto un giro a piedi per il French Quarter (che di giorno è anche delizioso), poi ci siamo dati da fare per cercare un giro fra le zone alluvionate che fosse commentato in italiano. Nulla da fare, nemmeno l’ufficio informazioni turistiche ci ha potuto aiutare. Un impiegato molto gentile, pero’, ci ha segnato sulla cartina l’itinerario da fare, segnandoci i punti dove fermarci. Infatti il quartiere maggiormente danneggiato, il famoso “9th Ward” è parecchio malfamato. Il tizio dell’ufficio turistico si è raccomandato di andarci di giorno, di non scendere dalla macchina, di percorrere solo le strade grandi. Ci ha segnato sulla cartina dove era possibile fermarci, e la zona che sta ricostruendo Brad Pitt con i soldi raccolti con il progetto Make it Right (http://www.makeitrightnola.org/ ) – Un giro interessante e commovente, si vedono solo case di poveracci ancora totalmente da ricostruire. Sono case di persone che erano li’ in affitto, o che erano troppo poveri per avere un’assicurazione. Cosi’ sono ancora come l’indomani dell’alluvione. Nei quartieri ricchi, invece, non sembra nemmeno che ci sia stato Katrina. Guarda caso l’unico quartiere ancora distrutto è il quartiere nero e povero di New Orleans. In un paese decisionista e megalomane come gli Stati Uniti 4 anni senza nemmeno togliere i rottami delle macchine dimostra il totale disinteresse e la mancanza di un progetto in quelle zone. C’è molto da riflettere.

Nel primo pomeriggio siamo andati a mangiare un boccone in centro, al Riverwalk, un mega centro commerciale alla fine di Canal Street. Canal Street è una strada molto bella, piena di negozi, alberghi e ristoranti. Dovessi tornare a New Orleans prenderei l’albergo li’ . La sera abbiamo fatto un giro su Canal Street, Decatur Street, il French Market, e poi di nuovo su Bourbon Street, per cenare in un cortile all’aperto dove suonavano il jazz.

Dalla mattina dopo è cominciato il tour de force fra i parenti, pranzi e cene interminabili, compresa la giornata del Thanksgiving Day all’americana, con parata di Macy’s in tv, tacchino, preghiera, proprio come nei film.
Il venerdi’ 27 abbiamo fatto un giro lungo il Mississipi (il fiume), visitando una bella piantagione a circa 30 miglia da New Orleans, a Oak Alley. Una cosa bellissima, una guida in costume che spiegava la vita della piantagione e le usanze dell’epoca. Bello davvero.

Il giorno dopo siamo ripartiti verso la Florida, visto che il volo per l’Italia ripartiva da Miami. Abbiamo fatto una tirata unica di 10 ore pur di fermarci a Orlando e fare una mattinata di shopping al Prime Outlet! Siamo arrivati a Miami il 29 novembre sera, giusto il tempo di prendere una stanza al Best Western all’ Aeroporto (dove uno sveglissimo impiegato mi ha perso il modulo I-94W dell’immigrazione) e andare a mangiare una ottima bistecca all’Outback, catena di steak house in stile australiano.

Il 30 novembre la mattinata è passata a ricompattare il bagaglio per il volo di ritorno, a riconsegnare la macchina, e a sospirare pensando alla vacanza finita. Nel piu’ puro stile Fantozzi siamo partiti con un sole e un caldo tropicale, e siamo arrivati, con le scarpe da tennis e i giubbotti da viaggio, sotto la grandine (a Catania !?!).

Per scrivere questi ricordi, ho riletto con piacere il mio diario di quei giorni meravigliosi. Si, perche’ questa volta ho deciso di scrivere uno Scrapbook di questa avventura, una specie di diario con ritagli, biglietti, piantine, appunti e punti esclamativi, tutto scritto con penne e matite colorate….una cosa divertente e creativa che facevo in albergo la sera o la mattina prima di uscire, fra la curiosita’ e l’impazienza di mio marito, che da 23 anni sopporta le mie stranezze!
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New Orleans

Premetto che le mie visite di New Orleans non sono state mai esclusivamente turistiche: a New Orleans, infatti, c’è una bella fetta della mia famiglia!
Mia nonna paterna era la prima di nove fratelli e sorelle: lei ritornò in Italia dopo il matrimonio, mentre tutti gli altri restarono a New Orleans..vi immaginate, dunque, quanti cugini ho io su entrambe le rive del Mississipi?

Sono stata a NO due volte, ed entrambe le mie visite sono state il pretesto per due feste familiari stile “Soprano’s”, con tovaglie tricolori e cori che intonano “That’s ammore” (soprattutto la prima volta, nel 1989, quando gli eventi vennero organizzati dalle vecchie generazioni).

Stare dai parenti negli USA è un’esperienza interessante, soprattutto se si decide di fare vita casalinga, e perciò di godersi appieno “the american style of life”. Noi andavamo a fare la spesa, in banca, dal parrucchiere, a fare benzina…insomma abbiamo cercato di condividere con i cugini che ci ospitavano le loro abitudini e i loro itinerari. Questo ovviamente è andato a scapito delle attrazioni più “turistiche”, ma credo che tutto sommato ne sia valsa la pena. Quest’anno, poi, abbiamo partecipato anche al matrimonio di una cugina, e un matrimonio negli USA, ma soprattutto a NO, dove si sentono influenze tradizionali di tutti i generi, è davvero qualcosa da raccontare.

Comunque ho visitato parecchie attrazioni a New Orleans, e ci sono state cose che mi hanno molto colpito: una di queste è stata la “House of Vodoo” su Bourbon Street, il cuore pulsante della New Orleans peccaminosa e nottambula. Il vodoo a NO è molto presente, e anche i negozi di souvenir più dozzinali hanno gadgets con teschi, fantocci, spilloni, e materiale del genere. Ma la House of Vodoo di Marie Levau è qualcosa di più inquietante.
Lì dentro tu percepisci che c’è gente che ci crede davvero. Innanzitutto il materiale in vendita è meno appariscente, e molto artigianale. Bamboline fatte mano, fantocci di pezza, spilloni di vario genere, radici e erbe dall’ uso sconosciuto…La cosa che mi ha colpito più di tutte è stato l’altare dedicato a Marie Levau, famosa “sacerdotessa” di riti di magia tradizionale, con il suo ritratto, molto inquietante e sicuramente appariscente. L’ immagine di questa donna magra, con grandi occhi e tanti capelli, è circondato da candele, bigliettini, e oggetti che potremmo definire “ex-voto”, del genere che ci si aspetta in un posto così. Teschi, bamboline, candele profumate..ci credete che sono uscita da lì di corsa???
La mia curiosità da turista è stata sopraffatta da un senso di fastidio e di ..inquietudine!
La Cattedrale di St. Luis mi ha colpito per un’altra cosa..non avevo mai visto all’interno di una chiesa le bandiere nazionali. Ci sono sia le bandiere storiche della Confederazione e degli Stati del Sud, ma anche lo Star and Stripes, che sventola tranquillo di fronte al crocifisso!

E infine, un’altra cosa che merita una visita è il Cafè du Monde nel Quartiere Francese. E’ un ritrovo che risale al 1870, che resta aperto
sempre, 24 ore su 24, eccetto il giorno di Natale. Il Cafè du Monde ha chiuso solo in occasione di qualche uragano, ma nei giorni restanti (e nelle notti) è sempre circondato da file di turisti in attesa di gustare il “Cafè au Lait” (uno schiumosissimo cappuccino), ma soprattutto i “beigneès”, una sorta di maxi – zeppole fritte e ricoperte da uno strato incredibile di zucchero al velo.

Dopo Kathrina le zone ricche (Metairie, le zone intorno al Lake Pontchartrain) sono state ricostruite in tempi brevissimi grazie ai rimborsi assicurativi.
Diversa la situazione per le zone più povere della città, tipo il Ninth Ward, dove ancora nel 2009 si vedevano i danni della tracimazione del lago.
Le case erano quasi tutte in affitto, e le persone avevano perso tutto. I proprietari aspettavano i risarcimenti, o non erano nemmeno assicurati, dunque nessuno ricostruiva.
Il tizio del Visitor Center si raccomandò di non scendere dalla macchina (era di giorno) e di non fare foto.
Se cosideriamo che Kathrina era stata nel 2005, e io sono stata in quelle zone nel 2009, capite bene che per gli standard USA quelle zone erano volutamente abbandonate.
L’unico che faceva qualcosa nel Ninth Ward era Brad Pitt, con la sua fondazione Make it Right.
All’epoca gli unici che stavano ricostruendo le case erano i volontari con i fondi derivanti dalla sua associazione.

Comunque, capisco che le opinioni su New Orleans siano sempre contrastanti.

Io mi rendo conto di avere per NO un trasporto emotivo maggiorato, esclusivamente per motivi familiari e personali.
La mie visite sono state in massima parte “scortate” da parenti, e la città la vedo con gli occhi del cuore.

Ciononostante la terza volta che l’ho visitata, nel 2009 nel giro degli Stati del Sud, sono volutamente rimasta 24 ore in “incognito” per potere girare a mio piacimento e dormire due notti nel French Quarter.

Anche noi abbiamo avuto la sensazione che alcune parti di Bourbon Street, la sera, siano in pieno degrado. Abbiamo notato tutti i locali a luci rosse, le ragazze in attesa, le insegne anche troppo esplicite.

Nei locali si sente poco jazz e molto “tumpi tumpi tumpi” techno – Noi abbiamo ascoltato un gruppo con banjio e sax in un cortile davanti ad un buchetto con street food, perche’ i locali non erano per nulla quello che ci aspettavamo.

Ma Bourbon Street NON è il French Quarter, ci sono strade molto più praticabili, senza dovere tappare gli occhi ai bambini.

Per me New Orleans è il Garden District con le lussuose case d’epoca, è Canal Street, sono i locali affacciati sul Pontchartrain Lakefront.
E’ il Vieux Carrè di giorno, con i balconi fioriti e gli artisti di strada.
E’ il Riverwalk con vista sul Mississipi.
E’ la Cattedrale di St.Louis con le bandiere di fronte al crocifisso (anche la bandiera della squadra dei Saints!) –

E potrei continuare……ma credo di essermi spiegata.

Quello che viene fuori da tutti i commenti, però, e’ che New Orleans è diversa da tutte le altre città degli USA, è una città che si ricorda e che ha un suo spirito peculiare. Ovviamente divide, ma non lascia mai indifferenti.

Cody – Sierra Trading Post –

Mentre preparavo le valigie, ho tirato fuori una felpa ancora con l’etichetta, e mi e’ venuta voglia di segnalare questo negozio a tutti coloro che faranno il giro del Real America.

http://www.sierratradingpost.com/lp2/cody-outlet-store/?osid=cody-outlet-store-_-store&showlocalization=True

Nel Settembre 2011 noi abbiamo dimenticato le felpe nell’hotel di Sioux Falls, e non potevamo affrontare Yellowstone senza, cosi’ ci siamo fermati in questo negozio, e con sorpresa abbiamo visto che i prezzi erano bassissimi.

Si tratta di una catena di abbigliamento casual, direi country, e i prezzi sono da svendita continua. Quello di Cody e’ facilissimo da trovare, e vale la pena fermarsi!

Comunque ha anche il sito di shopping on line.

http://www.sierratradingpost.com/

Farmacisti a New Orleans: una lunga storia –

 New Orleans ha diversi primati, dal primo cocktail al primo farmacista autorizzato degli Stati Uniti, e sorprendentemente, queste due cose sono strettamente legate.

 Sin dai tempi coloniali le città del Nuovo Mondo avevano speziali, e New Orleans ha giocato un ruolo significativo nello sviluppo delle moderne farmacie e drogherie, dai suoi primi speziali al moderno College of Pharmacy a Xavier University of Louisiana .

 Si deve a William Claiborne, il primo Governatore di New Orleans e dei territori della Louisiana, l’emissione nel 1804 di un decreto che istituiva l’esame di licenza per i farmacisti.

Gli organi legislativi della Louisiana, che nel 1812 era diventata uno stato autonomo, confermarono il decreto con una legge statale.

Nel 1816, Louis Dufilho Jr., un cittadino residente a New Orleans, superò un esame davanti a un consiglio di esperti professionisti nel palazzo del Cabildo , diventando il primo farmacista autorizzato degli Stati Uniti.

Dopo aver conseguito la licenza, Dufilho andò a lavorare nella farmacia di suo fratello sul Toulouse Street.

Nel 1823 costruì un cottage di stile creolo al 514 di Chartres Street, destinando il piano terra alla sua farmacia, e gli altri piani alla residenza di famiglia.

Dufilho portò aventi la sua attività su Chartres Street per oltre 30 anni, finchè non ritornò in Francia con la sua famiglia nel 1855. L’edificio ha cambiato proprietà numerose volte per quasi un secolo prima di essere acquisita dalla città di New Orleans nel 1940.

 Si decise di trasformare la casa in un museo, e nel 1950 aprì il New Orleans Pharmacy Museum. I piani superiori sono stati completamente restaurati nel 1986, ampliando lo spazio espositivo del museo.

Oltre ad una splendida collezione di armadi farmacia, strumenti, bottiglie, barattoli, e altri strumenti del mestiere, il museo contiene una serie di mostre con elementi quali medicine “brevettate” (come Hadacol ), così come mostre sulle erbe e le piante, e l’utilizzo dell’alcool come medicina. Un armadietto delle medicine originali al secondo piano mostra diverse bottiglie di Amaro del Peychaud , oltre a elaborate coppe da somministrazione.

Antoine Amédée Peychaud era un farmacista che ha creato i suoi amari nel 1830, sostenendo che avrebbero curare una vasta gamma di disturbi, ma il più famoso uso di Bitter di Peychaud è nel cocktail Sazerac , inventato intorno al 1850.

In aggiunta all’elenco dei primi rimedi farmaceutici, si devono considerare le preparazioni Voodoo, vendute sottobanco dalle farmacie New Orleans, le cui ricette erano state insegnate ai farmacisti da sacerdotesse voodoo locali.

Il museo è un meraviglioso racconto di come le farmacie si siano sviluppate organicamente a New Orleans, e un interessante confronto di come le cose si siano evolute con il tempo.

Non solo il New Orleans Pharmacy Museum è un piacere per chi è interessato alla storia della professione negli Stati Uniti, ma l’edificio che ospita il museo è un esempio affascinante di “Cottage Creolo”.

L’edificio è diverso dalle case coloniali spagnole nel quartiere francese in quanto si tratta di una semplice casa si affaccia sulla strada. La struttura dispone di un cortile, ma è circondato da un muro di mattoni; la parte posteriore della proprietà comprendeva le abitazioni degli schiavi e un appartamento separato per il figlio maggiore della famiglia. Dal momento che il primo piano era lo spazio di vendita al dettaglio, la famiglia entrava e usciva dalla casa attraverso la strada accanto al negozio.

 Mentre la città cresceva, gli immigrati provenienti da altri paesi europei aggiungevano il loro contributo alla cultura di New Orleans, e i membri delle nuove comunità etniche spesso stabilivano le proprie farmacie con i propri farmacisti.

Verso la fine degli anni 1890, Gustav Katz ha aperto una farmacia all’angolo di Jackson e St. Charles Avenue in Uptown New Orleans. Katz collaborava con Sidney Besthoff, arrivato da Memphis, e aprirono il primo Katz and Besthoff Drugstore al 732 di Canal Street.

Non erano soli: SJ Shwartz aprì una farmacia nel suo nuovo edificio Maison Blanche nel 1912, Waterbury aprì diversi negozi su Canal Street a partire dal 1940, e nel dopoguerra Walgreens aprì un negozio su Canal e Baronne.

 Lo studio formale ufficiale delle scienze farmaceutiche cominciò a New Orleans nel 1970, quando la Xavier University of Louisiana ha aperto il suo Collegio di Farmacia.

Una delle uniche due scuole di farmacia in Louisiana (l’altra si trova nella parte settentrionale dello stato presso l’Università della Louisiana di Monroe), l’Università di Xavier è stata duramente colpita dall’uragano Katrina nel 2005.

Nel 2006, l’Emirato del Qatar ha donato 17,5 milioni dollari per ricostruire l’università, con la costruzione di un nuovo edificio per la scuola di farmacia, il Quatar Pavillion, inaugurato nel 2010e l’aggiunta di oltre 5000 metri quadrati al college.

Anche se oggi il business farmaceutico è dominato da catene gestite a livello nazionale, New Orleans non dimentica il suo passato.

 Fonte:

http://www.gonola.com/2013/07/29/nola-history-apothecaries-drug-stores-and-pharmacy-in-new-orleans.html

Multiproprietà e Timesharing

Molti amici del forum che frequento mi hanno visto scrivere di “multiproprieta’” quando racconto delle mie vacanze, e qualcuno mi ha chiesto (in privato o sul forum) “ma come funziona”?

Senza volere fare nessun tipo di pubblicita’, cerco di rispondere per la mia esperienza.

La multiproprieta’ “immobiliare” consiste nel possedere parte di un immobile, per un determinato periodo di tempo. Si acquista con un atto notarile, si puo’ trasferire agli eredi, si puo’ vendere. Si pagano anche le tasse sulla quota posseduta, IMU compresa (in Italia o comunque una tassa di proprieta’ se prevista nel paese dell’immobile), e si paga il “condominio”, ovvero le spese di gestione.

Poi c’è la multiproprieta’ “alberghiera”, per cui si acquista il diritto di trascorrere un periodo di tempo in una struttura alberghiera ben precisa, ma senza l’individuazione di una particolare unita’ immobiliare; non c’e’ atto notarile, ma solo una scrittura privata. Non si pagano tasse di proprieta’, ma solo quelle di gestione annuali. La fruizione deve sempre essere concordata con chi gestisce la parte alberghiera.

Gli immobili oggetto delle multiproprieta’, di solito residence e piccoli appartamenti, sono per lo piu’ inseriti nei “circuiti di scambio”. C’e una societa’ , cioe’, che si occupa di gestire gli scambi fra multiproprietari. Le due principali societa’ di scambio sono Interval e RCI, ma le grandi societa’ alberghiere possono avere un meccanismo di scambio interno che consente di depositare la propria settimana e di richiederne una in cambio in una localita’ a proprio piacimento.

Per la mia esperienza in questo settore, la cosa principale da valutare in caso ci si voglia avvicinare alla multiproprieta’ e’ la serieta’ della controparte, e la partecipazione o meno a un circuito di scambio mondiale.

Una multiproprieta’ che costa poco, ma in una struttura che non partecipa agli scambi, e’ una soluzione che potra’ andare bene se vuoi tornare ogni anno nello stesso posto.
Conosco persone che hanno una settimana in Sardegna a Giugno, e ci vanno ogni anno senza sentire l’esigenza di cambiare. Oppure qualcuno che ha una settimana in Trentino e ogni anno fa la settimana bianca nello stesso posto. Magari chi ha bambini piccoli, parenti da visitare, gruppi di amici che vogliono incontrarsi nello stesso posto tutti gli anni….

La multiproprieta’ alberghiera di solito costa di piu’, ma se la controparte e’ di qualita’ e’ una soluzione che garantisce flessibilita’ e stimolo per girare e cambiare posto ogni anno.

Mio marito ed io abbiamo cominciato a girare in multipropieta’ con certificati d’ospite acquistati da mio fratello, associato RCI da vent’anni. Poi abbiamo scoperto la Marriott, e abbiamo comperato la nostra settimana a Marbella.

La Marriott e’ associata ad Interval, che ha residence in tutto il mondo, e ci da la possibilita’ di scambiare la nostra settimana anche con punti da utilizzare nelle strutture alberghiere pure.
Possiamo scambiare direttamente con Marriott in alcune strutture della Florida, per le altre dobbiamo passare da Interval, ma fino ad oggi siamo stati sempre accontentati. Ovviamente si deve richiedere lo scambio molto tempo prima (io sono gia’ in lista per marzo 2014 a Phuket), e se si sceglie un residence in particolare bisogna essere molto flessibili con le date, mentre se si vuole una settimana in particolare, bisogna essere molto flessibili sulla destinazione.

Insomma, e’ una lista di attesa che funziona sulla priorita’: prima ci si inserisce, e piu’ scelte si danno, meglio e’ –

Ancora Settembre negli USA

E’ incredibile ……il titolo del mio blog dell’anno scorso calza a pennello anche quest’anno.
Evidentemente il mio Mal d’America ha bisogno di una cura almeno annuale per lasciarmi vivere a Messina.

Anche se questa volta gli Stati Uniti sono solo una tappa inserita a forza in un operativo voli Alitalia comprato con i punti Millemiglia.

Siamo partiti stamattina da Catania per Fiumicino, e da li’ direttamente a Miami.
Viaggiamo in Classica Plus, esperienza un po’ deludente. Il poggiapiedi si alza appena, la larghezza del sedile e’ di pochissimo maggiore di quella dell’economy,

L’omaggio e’ lo stesso della business, e sembra che anche il servizio a bordo sia differente da quello base.

Vedremo!

Raleigh – Una citta’ in posizione strategica –

Raleigh e’ la capitale del Nord Carolina, uno Stato oggi soprattutto agricolo, che storicamente si e’ un po’ diviso fra Nord e Sud. Nonostante fosse uno dei 13 stati fondatori dell’Unione, durante la Guerra di Secessione combatte’ con i Confederati.

Geograficamente la Carolina del Nord e’ a meta’ della Costa Est, ed e’ un passaggio obbligato in caso si voglia fare un itinerario Nord – Sud . E a questo punto Raleigh diventa strategica, perche’ molto vicina alle grandi arterie interstatali, e soprattutto alla I95.

Una sosta a Raleigh puo’ essere comunque piacevole, anche perche’ la citta’ e’ gradevole e molto orientata al turismo.

Ho conosciuto la citta’, durante un itinerario che nel 2004 ci porto’ da New York alla Florida.

In effetti ne ho un bel ricordo, anche perche’prima di partire l’ufficio del turismo di Raleigh mi aveva mandato parecchia documentazione e qualche coupon di offerta. Grazie ai coupon di sconto ricordo di avere dormito allo Sheraton ad un prezzo d’occasione, circostanza molto gratificante visto che avevamo passato tutta la giornata in macchina e avevamo bisogno di un po’ di svago.

La parte piu’ caratteristica e’ il centro, un Downtown con ristoranti e locali, con zone alberate e pedonali.
Oltre ai locali si trovano negozi, centri commerciali, cinema Imax, gallerie, tutti collegati da un Bus elettrico gratuito.

La citta’ e’ carina e tranquilla, non e’ enorme, e ha solo 300.000 abitanti; il gestore del locale dove avevamo cenato, un palermitano trapiantato da anni negli USA, ci aveva spiegato che dopo parecchi traslochi aveva scelto di stabilirsi a Raleigh perche’ era una citta’ con poca criminalita’, prezzi accessibili e ottime scuole.

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L’apertura della citta’ e la dinamicita’ dei suoi abitanti e’ testimoniata dal fatto che oggi Raleigh e’ conosciuta per essere la capitale dell’illuminazione a Led.

Tutta l’illuminazione pubblica, infatti, e’ stata convertita, e il 75% della popolazione ha convertito l’illuminazione privata.

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Questo comportera’ un considerevole risparmio negli anni a venire, e il Downtown e le strade del centro sono piu’ illuminate e sicure.

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Chicago…………”lasciatemi stare, ho troppo da fare”

Mi sono chiesta diverse volte durante i giorni a Chicago se questa citta’ mi piacesse, ho provato a confrontarla con New York, mi sono soffermata a capirne lo spirito.

Le mie sono impressioni del tutto personali, ma ho avuto la sensazione di una citta’ fredda, e non solo meterologicamente. Ovviamente 72 ore sono troppo poche, ma voglio provare a descrivere cosa ho percepito di questa metropoli.

Bella e’ bella. Lo skyline e’ armonico, ogni palazzo, grattacielo, merita uno sguardo approfondito. Belli i parchi, bello lo sguardo sul lago, il Navy Pier…..i negozi sul MagMile sono eccezionalmente lussuosi, si capisce che i soldi girano, qui.

Ho percepito, pero’, lo spirito di una citta’ indaffarata, veloce, concentrata sulle proprie attivita’. Anche il personale dei ristoranti, il bigliettaio dell’autobus, la signora dell’ufficio informazioni. Formalmente cortesi, ma l’empatia e’ un’altra cosa.

Per le strade del centro la gente suona il clacson se ti attardi (novita’ assoluta negli states, manco nella latina Miami ci e’ successo con tanta frequenza) e se hanno fretta, sono capaci di superarti con una sgommata.

In sei giorni non ho visto nulla che si possa pargonare ai tipi strani che girano a New York e che ho visto in tante foto recenti…il personaggio piu’ estroso che ho visto e’ stato il ragazzo/pupazzo immagine di Ghirardelli!

Chicago davvero merita una visita, davvero merita di essere vista, ma sicuramente cercando con pazienza i suoi lati piu’ piacevoli, che sicuramente ci saranno….anche se lei fa di tutto per nasconderli, dietro una corsa efficente e impegnata.

America the Beautiful.

Il testo di questa bellissima canzone e’ stato scritto da Katharine Lee Bates (1859-1929); la scrittrice fu ispirata dalle bellezze del Colorado, in particolare dalla vista dalla cima del Pikes Peak.

Ne avevo sentito parlare, ma quella mattina, nel Rocky Mountain National Park, ho capito cosa aveva provato la Bates, e ho cominciato a canticchiare quella melodia, come se il sentimento di ammirazione per la bellezza che mi circondava avesse bisogno di essere espresso.


O beautiful for spacious skies,
For amber waves of grain,
For purple mountain majesties
Above the fruited plain!

America! America!
God shed His grace on thee,
And crown thy good with brotherhood
From sea to shining sea!

O beautiful for pilgrim feet
Whose stern impassion’d stress
A thoroughfare for freedom beat
Across the wilderness.

America! America!
God mend thine ev’ry flaw,
Confirm thy soul in self-control,
Thy liberty in law.

O beautiful for heroes prov’d
In liberating strife,
Who more than self their country loved,
And mercy more than life.

America! America!
May God thy gold refine
Till all success be nobleness,
And ev’ry gain divine.

O beautiful for patriot dream
That sees beyond the years
Thine alabaster cities gleam
Undimmed by human tears.

America! America!
God shed His grace on thee,
And crown thy good with brotherhood
From sea to shining sea.